Le leggi razziali in Italia.

La luce vince sempre sul buio

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Le leggi razziali in Italia.

Relazione tenuta per richiesta dell’Associazione Nazionale Ciechi di Guerra e per Servizio Militare presso il Liceo Classico “Michele Morelli” di Vibo Valentia.

Saluti e Presentazione:

Buongiorno! Buongiorno agli intervenuti (Autorità militari, civili e religiose, corpo docenti, studenti e/o anche semplici partecipanti) che voglio salutare, senza differenziazione, con medesima intensità e rispetto.

Esordisco volutamente così, sottolineando che il mio saluto va a tutti gli intervenuti in egual modo ed intensità, perché l’argomento che sono chiamato oggi a trattare non prevede ‹‹differenze››; quelle differenze che da quando è nato il mondo hanno generato odio, rancori, guerre, stermini, stragi… e chi più ne ha, più ne metta.  

Mi presento:

Sono il Generale Francesco Deodato, chiamato, oggi, a trattare un argomento, come dicevo prima,  purtroppo, di scottante attualità: le leggi razziali in Italia.

La retorica dell’Impero

In questo 2018 che si è aperto con le proteste della comunità ebraica per i rigurgiti antisemiti dell’estremismo di destra, è doveroso ricordare in occasioni come questa e sotto il patrocinio di un’associazione che alla causa ha dato tanto (L’Associazione Nazionale Ciechi di Guerra e per Servizio Militare, qui rappresentata dal Presidente Nazionale e Regionale) gli avvenimenti di un anno, il 1938, in cui vennero inoculati nella società italiana i semi dell’odio.

Sono passati ottanta anni.

Quest’anno, il 2018, infatti, ricorre l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle infauste leggi razziali, promulgate dal Governo fascista tra settembre e dicembre, anche se, in verità, tutto il 1938 venne pervaso dal dibattito sull’antisemitismo e dall’esplosione di una campagna razzista senza precedenti.

Infatti, anche dopo l’introduzione delle prime norme anti-semite in Germania, in Italia non si assisteva ancora a vere e proprie forme di discriminazione razziale.

Prova ne è il fatto che dopo che i Patti Lateranensi avevano definito l’ebraismo come culto ammesso, il governo fascista nel 1930 emanò la Legge Falco, che istituiva e rendeva, sì, obbligatoria l’iscrizione all’Unione delle comunità ebraiche italiane, ma era vista con favore dagli ebrei che arrivarono a considerarla una forma di semplificazione burocratica.

Fu, invece, nel 1938 che la situazione cambiò profondamente.

Il 14 luglio venne redatto il primo documento che parlava ufficialmente di “razza ariana italiana”.

Gli storici, a cominciare da Renzo De Felice, scomparso qualche anno fa, ne «La storia degli ebrei italiani sotto il fascismo» e nel secondo tomo di «Mussolini il Duce» (entrambi editi da Einaudi), si sono interrogati a lungo sul perché di quella data, il 1938.

Il popolo italiano, in precedenza, bisogna riconoscere che non era mai stato particolarmente razzista, né nel nostro Paese le manifestazioni di antisemitismo avevano raggiunto i livelli di certi Paesi del Nord Europa.

Posizioni estreme, rappresentate per esempio dalla rivista «La vita italiana» di Giovanni Preziosi o da alcuni settori della «Civiltà cattolica», erano rimaste per fortuna minoritarie.

Ma con la conquista dell’Etiopia nel 1936 e la retorica sulla costruzione dell’Impero, il razzismo italiano aveva fatto passi da gigante, tanto che nel 1937 furono emanate leggi contro i matrimoni misti e le unioni more uxorio, punibili con il carcere sino a cinque anni.

(La convivenza more uxorio è la relazione affettiva e solidaristica che lega due persone in comunione di vita e la situazione di fatto che si crea è simile, per molti aspetti, al matrimonio)

Si dovrà aspettare fino al 1993 per cancellare questa norma, quando la Cassazione con sentenza n. 6381/1993 dichiara che la convivenza more uxorio è legittima per il nostro ordinamento perché non contrasta con il buon costume, l’ordine pubblico e le norme imperative.

Nel 1934, gli arresti a Torino di alcuni antifascisti di «Giustizia e Libertà», alcuni dei quali esponenti della comunità ebraica come Leone Ginzburg e Carlo Levi, avevano ravvivato l’antisemitismo dei fascisti più estremisti (e razzisti) come Telesio Interlandi sul «Tevere» e Roberto Farinacci su «Il regime fascista».

La soluzione di Mussolini per uno «Stato ebraico»

Ma in quella occasione era stato lo stesso Benito Mussolini a gettare acqua sul fuoco dell’antisemitismo, preoccupato dalla piega che stava prendendo la politica nazista dopo il tentato colpo di Stato in Austria.

Il graduale riavvicinamento con la Germania giocò un ruolo cruciale nell’emanazione delle leggi razziali, ma secondo De Felice e Giorgio Candeloro (volume IX della «Storia dell’Italia moderna», Feltrinelli) ancora nel febbraio 1938 Mussolini cercava di agire con moderazione e non voleva andare oltre un blando antisemitismo.

Lo testimonierebbe il numero 14 dell’«Informazione diplomatica», emanata il 16 febbraio, in cui si affermava che il Governo sorvegliava perché «la parte degli ebrei nella vita dell’insieme della nazione non sia sproporzionata ai meriti intrinseci e individuali e all’importanza numerica della comunità».

Mussolini suggeriva di risolvere il «problema» con la creazione di uno «Stato ebraico», ma non in Palestina, per non irritare gli amici arabi. Probabilmente pensava ad alcuni territori dell’Africa Orientale Italiana dove peraltro già vivevano le comunità dei Falascià.

Il viaggio di Hitler in Italia

Il salto di qualità verso la politica antisemita venne compiuto dopo la visita in Italia di Adolf Hitler dal 3 all’8 maggio.

Un viaggio che apparentemente non produsse grandi frutti diplomatici se non quello di rafforzare l’amicizia tra i due regimi, ma che di fatto diede impulso ai provvedimenti antisemiti.

Non vi sono documenti né testimonianze di esplicite richieste avanzate da Hitler, se non una frase che Mussolini avrebbe riferito a Dino Grandi. Ma è evidente che dopo il suo viaggio a Roma, durante il quale papa Pio XI, inorridito dall’uso blasfemo della croce nazista, si ritirò a Castel Gandolfo, l’antisemitismo fascista subì un’accelerazione inarrestabile.

Un grande passo, prima dell’emanazione delle leggi, fu la pubblicazione il 14 luglio, sul «Giornale d’Italia» del «Manifesto della razza».

Il documento, cui avevano collaborato molti professori universitari, ma che era stato rivisto a fondo da Mussolini, apparve prima in forma anonima, e soltanto il 25 luglio un comunicato del Partito fascista rese noti i nomi degli estensori.

Il «Manifesto della razza»

L’esclusione degli ebrei dalla vita pubblica

In quel testo, composto da dieci punti, si affermava tra l’altro: «Gli ebrei rappresentano l’unica popolazione che non si è mai assimilata in Italia, perché essa è costituita da elementi razziali non europei, diversi in modo assoluto dagli elementi che hanno dato origine agli italiani».

Anche se molti negarono di essere tra gli estensori e nessuno di loro venne epurato nel dopoguerra, in seguito a una strenua resistenza legale e alla presentazioni di credenziali antifasciste costruite ad arte, i primi firmatari erano i seguenti: il patologo Lino Businco, l’antropologo Lidio Cipriani, il neuropsichiatra Arturo Donaggio, il pediatra Leone Franzi, l’antropologo Guido Landra, il clinico e senatore Nicola Pende, lo zoologo Marcello Ricci, il demografo Franco Savorgnan, il fisiologo Sabato Visco, lo zoologo Edoardo Zavattari.

Per atto di giustizia, non posso esimermi dal dire che il documento fu firmato anche da personaggi che per la mia generazione e quella immediatamente prima rappresentarono dei punti di riferimento che caratterizzarono la nostra idea politica giovanile.

Parlo di Giorgio Almirante per la destra, Amintore Fanfani per il centro e Giorgio Bocca per la sinistra parlamentare italiana, anche se quest’ultimo non ricoprì mai la carica di deputato o senatore della Repubblica ma fu un valente ed acuto giornalista di quotidiani come La Repubblica e settimanali come L’Espresso.

E poi ancora Giuseppe Bottai, Giovanni Papini, Giovanni Gentile, Pietro Badoglio, Emilio Balbo e Galeazzo Ciano.

Tornando però a quelli che se ne assunsero la paternità senza ma e senza se, non sarà sfuggito all’attenta platea che i personaggi da me citati sono, ad eccezione del demografo Franco Zavorgnan, tutti clinici legati, chi più chi meno, allo studio della genetica e, quindi, alla razza.

Il testo, come già detto, era diviso in dieci punti e sanciva alcuni concetti ritenuti fondamentali:

Le razze umane esistono.

Esistono grandi razze e piccole razze.

Il concetto di razza è concetto puramente biologico.

La popolazione dell’Italia attuale è di origine ariana e la sua civiltà è ariana.

E’ una leggenda l’apporto di masse ingenti di uomini in tempi storici.

Esiste ormai una pura “razza ariana”.

E’ tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti.

E’ necessario fare una netta distinzione tra i mediterranei d’Europa (occidentali) da una parte, gli orientali e gli africani dall’altra.

Gli ebrei non appartengono alla razza italiana.

I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in nessun modo.

L’antisemitismo era assurto così a dottrina di Stato e gli esponenti del razzismo più estremo presero sempre più piede.

Il 5 agosto, accompagnato da un grande battage, venne pubblicato il primo numero del quindicinale «La difesa della razza» diretto dal solito Interlandi.

Molti intellettuali in quei mesi si unirono alla propaganda razzista e antisemita. Basti ricordare, per restare in casa, cioè al Corriere della sera, l’entusiastica recensione di Guido Piovene sul «Contra Iudeos» di Interlandi uscita il primo novembre 1938: «Si deve sentire d’istinto e quasi per l’odore quello che v’è di giudaico nella cultura. Gli ebrei possono essere solo nemici e sopraffattori della nazione che li ospita».

Altrettanto grave ritengo sia l’articolo dell’11 giugno 1939 in cui Paolo Monelli sosteneva che «gli ebrei appaiono tutti uguali come i cinesi… come i cavalli, adeguati agli incroci consanguinei, dall’eguale vita dagli squallidi orizzonti». 

Le prime leggi antisemite, emanate tra il 2 e il 3 settembre 1938, vietavano tra l’altro la dimora in Italia degli ebrei stranieri e la revoca della cittadinanza per chi era arrivato dopo il 1918.

Gli ebrei vennero esclusi dagli insegnamenti di ogni ordine e grado e fu loro vietato di frequentare le scuole pubbliche.

Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale, cui una giunta del Comune di Roma negli anni Novanta voleva intitolare una strada, si mostrò particolarmente solerte e intransigente nell’applicazione dei provvedimenti antisemiti. Ne fa fede del resto il suo stesso diario.

E Galeazzo Ciano commentò così quella seduta del massimo organo del fascismo: «Bottai mi sorprende per la sua intransigenza».

Il ministro dell’Educazione era ben allineato perché fu lo stesso Mussolini a confidare a suo genero: «Anche se stasera sono conciliante sarò durissimo nella preparazione delle leggi».

E infatti, a breve, il 17 novembre 1938, fu emanato il secondo e duro Decreto Legge con cui gli ebrei venivano esclusi dal servizio militare, dalle cariche pubbliche, erano limitati nel campo della proprietà immobiliare, nella gestione delle aziende private e nell’esercizio delle professioni.

Venivano inoltre stilati i criteri per stabilire chi era da considerarsi ebreo. 

La posizione del re e del Vaticano

Ma, nonostante questa determinazione e questa spavalderia, Mussolini temeva la reazione di due autorità autonome: la Monarchia e il Vaticano.

Da Vittorio Emanuele III, che a settembre fu raggiunto dal Sottosegretario all’Interno Guido Buffarini Guidi nella tenuta di San Rossore, dov’era impegnato in strenue battute di caccia, venne una blanda obiezione sugli ebrei che si erano distinti in azioni patriottiche o erano mutilati di guerra. Ciò diede luogo a una serie di esenzioni. Ma alla fine il re firmò le leggi razziali.

Ben diverso e più combattivo fu l’atteggiamento di Papa Pio XI che già nel 1937 con l’enciclica diretta al clero tedesco «Mit Brennender Sorge» (con crescente preoccupazione) aveva bollato l’ateismo e il razzismo biologico.

Il 28 giugno 1938, durante una riunione con gli allievi del collegio della Propaganda Fide attaccò il razzismo italiano, fatto per imitare la Germania.

Mussolini contrattaccò personalmente.

Ma lo scontro più duro si ebbe sul tema dei matrimoni misti non riconosciuti dalla nuova legislazione antisemita, che perciò violava alcuni articoli del Concordato.

Pio XI, che meditava un nuovo attacco in occasione del decennale dei Patti Lateranensi, morì il 10 febbraio in seguito a due crisi cardiache.

Gli succedette il più diplomatico Pio XII, che, scrive De Felice, «preferì arrivare prudentemente a una distensione di fatto e tollerare la violazione fascista del Concordato».

Dalla definizione di razze alla discriminazione ed espulsione di cittadini (e bambini) ebrei dalla vita sociale e dal mondo lavorativo e scolastico il passo fu breve.

Con la Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica, del 29 giugno del 1939, venivano imposte limitazioni e divieti, in particolare per chi era “giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale”.

Il Regio decreto legge N.1728 nel novembre 1938

(Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana)

Con il Regio decreto legge N.1728 nel novembre 1938 ‹‹Provvedimenti per la Difesa della Razza Italiana›› si stabilirono i divieti per gli ebrei che io vorrei elencarvi perché ritengo che da soli bastino a rendere l’idea di cosa furono e cosa provocarono le leggi razziali in Italia, in modo che, quando qualcuno vi dirà che quello fascista non fu un vero e proprio razzismo, voi possiate rispondere con un invito a studiare meglio la storia di quei tristi anni, perché:gli ebrei, con queste leggi diventano “non cittadini”;

da quelle settimane del 1938 e fino all’abolizione delle leggi razziali gli ebrei non possono più essere cittadini uguali agli altri;

loro, gli ebrei, infatti:

Non possono essere iscritti al Partito Nazionale Fascista.

Non possono far parte di associazioni culturali e sportive.

Non possono insegnare nelle scuole statali né in quelle parastatali.

Non possono studiare nelle scuole pubbliche.

Non possono insegnare né studiare in accademie e istituti di cultura.

Non possono lavorare come insegnante privato.

Non possono entrare nelle biblioteche.

Non possono avere una radio.

Non possono sposarsi con italiani “ariani”.

Non possono, da cittadini stranieri, rimanere in Italia, né ottenere la cittadinanza italiana né mantenerla se concessa dopo il 1919.

Non possono lavorare come notaio, giornalista, avvocato, architetto, medico, farmacista, veterinario, ingegnere, ostetrica, procuratore, patrocinatore legale, ragioniere, ottico, chimico, saltimbanco girovago, agronomo, geometra, perito agrario, perito industriale.

Non possono avere la licenza per il taxi.

Non possono fare i piloti di aereo.

Non possono lavorare in nessun ufficio della Pubblica Amministrazione.

Non possono lavorare nelle società private di carattere pubblico, come le banche e le assicurazioni.

Non possono prestare servizio militare.

Non possono essere proprietari o gestori di aziende.

Non possono essere proprietari di terreni o di fabbricati.

Non possono farsi pubblicità.

Non possono essere tutori di minori.

Non possono, in alcuni casi, neanche mantenere la patria potestà sui propri figli.

I testi redatti, curati o commentati da autori ebrei, anche se scritti con “ariani”, non possono essere adottati nelle scuole.

Le carte geografiche murali di autori ebrei sono vietate.

Gli ebrei non possono assumere domestici “di razza ariana”.

Non possono lavorare come portieri di stabili abitati da ariani.

Le strade, le scuole e gli istituti non possono avere nomi ebraici e per questo vengono cancellati.

Non possono comparire sugli elenchi telefonici e per questo sono cancellati.

Non possono pubblicare necrologi.

Nei programmi radiofonici e nelle stagioni dei teatri non ci possono essere opere scritte da autori ebrei.

Gli ebrei non possono fare gli attori, i registi, gli scenografi, i musicisti, i direttori d’orchestra e per questo vengono licenziati.

Nelle mostre non possono essere esposte opere di pittori e scultori ebrei.

Gli ebrei non possono fare i fotografi.

Non possono fare i tipografi.

Non possono vendere oggetti d’arte.

Non possono vendere oggetti sacri, soprattutto se cristiani.

Non possono avere una rivendita di tabacchi.

Non possono lavorare come commerciante ambulante.

Non possono gestire agenzie d’affari.

Non possono gestire agenzie di brevetti.

Non possono vendere gioielli.

Non possono essere mediatori, piazzisti, commissionari.

Non possono vendere oggetti usati.

Non possono vendere apparecchi radio.

Non possono vendere libri.

Non possono vendere penne, matite, quaderni.

Non possono vendere articoli per bambini.

Non possono vendere carte da gioco.

Non possono fare gli affittacamere.

Non possono gestire scuole da ballo e scuole di taglio.

Non possono gestire agenzie di viaggio.

Non possono lavorare come guida turistica.

Non possono lavorare come interprete.

Non possono gareggiare nelle manifestazioni sportive, perché il CONI li espulse da tutte le federazioni.

Non possono frequentare luoghi di villeggiatura in luoghi considerati di lusso, come la Versilia, alcune località di montagna, ma anche Ostia, il mare di Roma. In pratica non possono andare in spiaggia.

Non possono vendere alcolici.

Non possono esportare frutta e verdura.

Non possono esportare la canapa.

Non possono gestire la raccolta di rifiuti.

Non possono raccogliere rottami di metallo.

Non possono raccogliere lana da materassi.

Non possono tenere depositi né possono vendere carburo di calcio.

Non possono raccogliere né vendere indumenti militari fuori uso.

Non possono avere il porto d’armi.

Non possono avere concessioni per le riserve di caccia.

Non possono avere permessi per fare ricerche minerarie.

Non possono esplicare attività doganali.

Non possono tenere cavalli.

Non possono nemmeno allevare piccioni.

Conclusione

I soliti benpensanti vi diranno che sì, certo, tutto questo non può essere negato ma vennero fatte alcune eccezioni

per i familiari di caduti nelle guerra libica, la prima guerra mondiale, la guerra etiopica, la guerra spagnola ed i caduti per la causa fascista;

per i mutilati, invalidi, volontari di guerra o decorati, iscritti al Partito Fascista della prima ora;

per i legionari di Fiume o per coloro che avevano ottenuto benemerenze eccezionali.

Sta a voi giudicare se questa voce può essere accolta come prova a discarico del fascismo nel processo che la Storia non può esimersi di celebrare nei confronti di coloro che convintamente vi aderirono.

Negli anni Trenta vivevano in Italia tra quarantamila e cinquantamila ebrei.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre, esattamente il 13 dicembre 1943, iniziò anche per gli ebrei italiani il periodo di deportazione e sterminio.

Alla persecuzione dei diritti seguì, infatti, la fase della «persecuzione delle vite» che trova il suo tragico culmine nell’Olocausto.

La neve di Auschwitz, gli spettri lungo il filo spinato, il fumo dal camino, le fosse comuni, gli sguardi persi nel vuoto, gli esperimenti sui bambini, gli eroi, i carri-bestiame, i tedeschi cattivi, il suono dei violini, lo strazio dei figli e delle madri, gli stivali dei nazisti, i diari e le lettere, le porte abbattute casa per casa…

L’orrore dell’Olocausto è stato raccontato mille volte, con dovizia di particolari e in tutte le lingue, e mille ne serviranno ancora e poi ancora mille.

Resta, dopo lo shock di una narrazione cominciata troppo tardi, quello che fatica ancora ad essere raccontato, forse perché fatica ad essere accettato.

Qualcuno la chiama la “memoria addomesticata”.

L’infamia dello sterminio di massa degli ebrei, teorizzato da Adolf Hitler, ebbe infatti nei fascisti italiani i suoi collaboratori fattivi.

L’orrore ebbe un’onda lunga che iniziò con le leggi razziali, volute da Benito Mussolini, Duce del fascismo, controfirmate dal capo dello Stato, il re Vittorio Emanuele III, e combattute da pochissime, isolate, voci.

Quello delle leggi razziali fu un virus che infettò ulteriormente e definitivamente, giorno dopo giorno, uno Stato già da tempo privato di tutte le libertà.

In 5 anni furono circa 180 i decreti razziali. Uno degli ultimi obbligava al lavoro coatto gli ebrei.

 Fu l’ultima iniezione: le norme, molte solo amministrative, ebbero un impatto irreversibile sulla vita quotidiana di migliaia di cittadini italiani, che non poterono più lavorare, studiare, formarsi, contribuire alla crescita individuale, delle proprie famiglie e delle proprie comunità.

Ma la storia non si ferma mai! Non può! E, finita la guerra, sconfitto il fascismo, l’Italia, alla Monarchia sceglie la Repubblica che si dota di una sua Costituzione.

E’ la Legge delle leggi! E’ bellissima! In molti ce la invidiano mentre noi facciamo di tutto per adeguarla ai nostri interessi.

Ripeto: interessi e non bisogni.

Ebbene, la Legge delle leggi, all’articolo 3 chiarisce che non esiste “distinzione di razza”.

Ma di questo sarà l’illustrissimo Preside Giacinto Namia a parlarvi e lo farà, certo, meglio di me. Quello che però voglio portare a vostra conoscenza è che in Italia c’è già qualcuno che ha decretato la cancellazione della parola “razza” dal proprio Statuto e dal proprio Regolamento. Non vi dirò di chi si tratta perché mi piace stimolare la vostra fantasia e la ricerca, soprattutto della Verità che si riesce a raggiungere solo quando si sono affermati in ognuno di noi i valori supremi di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza e Tolleranza.

Grazie per avermi prestato la vostra attenzione e, a tutti, giungano i miei auguri per una vita che non abbia mai a conoscere i tristi giorni della storia passata, i tristi giorni della storia delle ancora più tristi leggi razziali.

Bibliografia: da siti internet; Storia controversa della seconda guerra mondiale; Il ventennio fascista; Leggi razziali. Altri testi.

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